AURELIA strada Aurelia
PREMESSA
Roma, costruita nel 753 aC
inizia a costruire strade militari dopo soli trecento anni (Salaria, Appia antica, Tiberina).
Espandendo le terre di dominio, ebbe a dover portare le truppe
nella Gallia: primitivamente la strada era passando da Firenze, Piacenza, valli
piemontesi e loro valichi alpini. Apparve logico aprire la Postumia, perché - arrivati
a Piacenza - via Tortona arrivare alla costa.
Dilemma n.1: andare direttamente a
Vado per proseguire via terra verso Marsiglia, o scendere a Genova (centro
marinaro in netta crescita di importanza) per stabilire lì un punto di
riferimento sul mare e, seppur allungando la strada, arrivare poi lo stesso a Vado?
Dilemma n.2 Aprendo la strada
Postumia, quante difficoltà in meno rispetto il Bracco; oppure così
insuperabili le paludi della Versilia (fossæ Papirianæ) o così ‘scomodi’
i Sengauni (i Liguri montani, dei quali i primi gli Apuani)? Ah saperlo!
Roma comunque ci prova: dopo le altre già aperte al traffico
nel centro Italia, nel 241 inizia la strada litoranea verso Pisa: la via
Aurelia, che verrà poi ripresa e continuata da Emilio Scauri
nel 110 aC.
Per via Aurelia si intende genericamente il tracciato costiero che da Roma, mirava ad andare alla Gallia ed alla Spagna, essendo in teoria il tracciato più corto; ma che in pratica si è rivelato il meno facile da costruire.
Per fare chiarezza al lettore,
nella descrizione, ritengo necessario innanzi tutto distinguere e porre alcune considerazioni di base, non in ordine di importanza.
1 -
Prima, Come se ne trae leggendo qui di seguito, esistono innumerevoli
teorie relative il tracciato di questa strada in Liguria. Non si può fare a
meno di quanto già espresso altrove: la necessità di dover procedere almeno per
validità analogica; cioè – laddove
non ci sono prove tangibili - esporre ipotesi ragionative
tenendo punto di base l’insieme dello scibile di
oggi: dai tempi storici, la politica, i costumi, i reperti, ma soprattutto le
necessità militari di Roma in Liguria e nelle Gallie:
appare analogicamente valido pensare che Roma, dopo aver vinto gli Etruschi,
pensò di conquistare anche la Liguria per procedere oltre. Ma qui trovò alcuni
ostacoli allora insormontabili; il terreno, la povertà (che non garantiva i
rifornimenti), la popolazione ostile e ‘barbari’ indocili e quindi non proprio
barbari e sprovveduti. Volendo proseguire per la Gallia,
trovò giocoforza raggirare l’Appennino e procedere verso nord lasciando ‘la sacca’ della Liguria di per sé di scarsa importanza escluso
per le vie navali.
Quindi, essendo il materiale accertato -
relativo alla strada - così poco o addirittura nullo, ritengo valido accettare
l’apporto di ipotesi di probabilità, senza
imporre alcun parere, ma
esponendoli tutti.
Sotto il nostro limitato punto di vista vorremmo arrivare a rispondere al quesito: se la strada andava da Roma ad Arles, nel territorio di San Pier d’Arena, un po’ più su, un po’ più giù, c’è passata o no? Se non i soldati, i mercanti per andare dall’oppidum genovese alla Postumia ci sono passati o no? Cosa c’era in questa zona, nel tempo a cavallo tra aC e dC? Mica c’erano le targhe: che importanza ha se la strada era glareata o a lastroni, se dei locali o di Emilio Scauro?
Questa ‘distruzione’ di ogni traccia, impedisce allo Storico – il quale vuole riscontro di fatti concreti - di definire il reale tracciato; e nell’impossibilità, egli raggira l’ostacolo non parlandone affatto (nel testo dei Quilici, la documentazione archeologica è dettagliata; ma dalla chiesa di s.Tommaso, salta direttamente a Fegino e Rivarolo. Il territorio intermedio –perché privo di reperti - rimane non descritto: dov’era?).
Comunque, leggendo i vari libri descritti in bibliografia, notiamo con quanta disinvoltura anche gli Storici ‘sparano’ interpretazioni e valutazioni varie, senza prove valide.
2- Seconda, penso occorra anche dare una definizione precisa al termine ‘strada romana’. Poiché cambia se ci riferiamo alla strada costruita in modo romano, ovvero a ‘strati sovrapposti’ come la facevano fare in tutti gli altri tracciati oltreappenninici, prevalenti in pianura e trafficati dalle truppe e relativi pesanti carriaggi militari in modo che non si infossassero nel pantano (in campo sempre internazionale, Roma fu artefice della costruzione di un’ampia rete stradale: dalle altrettante porte della città uscivano 31 vie consolari o pretorie, tutte fondamentalmente e prioritariamente militari. Di esse, ai tempi di Cicerone, tre conducevano alla Gallia cisalpina: la Flaminia, la Cassia e l’Aurelia, tutte sostanzialmente opere strategiche militari. La tecnica di costruzione prevedeva dopo lo spianamento, uno strato di sassi, terra e sabbia – e dove necessario la malta di calce - il tutto coperto da ghiaia (glareata, ma di facile dissolubilità nel tempo) sulla quale porre affiancati dei lastroni levigati di pietra – selce o granito o basalto -: così era più duratura ed era detta “viam stravit”o “strata”, da viam sternere cioè spianata e lastricata, o quantomeno “viam munire” cioè costruita con argini, muri e ponti; e poi anche da mantenersi carrettabile. Generalmente una strada doveva avere sicurezza per almeno 12 stadi ai due lati del percorso: cosa che in Liguria fu subito da escludere. Nel territorio ligure fu scelta una “viam terrena” cioé solo appena spianata, con tracciato spesso incerto, fatiscente e non curato, soggetto all’erosione della natura del terreno e del bosco, facendo così poi sempre preferire - e sino a dopo il 1900 - transitare per via mare anziché terrestre); ed altro valore se ci riferiamo ad una strada carrettabile risalente all’epoca romana’ e trafficata anche e soprattutto dai mercanti, non con carriaggi ma con muli.
Questa
distinzione permette di valutare e giudicare che, se nel territorio di San Pier
d’Arena non fu necessaria la prima, sicuramente esistette questa seconda,
quella ‘viam terrena’ di
cui sopra.
Quindi,
non sempre sono rimaste tracce
indelebili: qualcosa, solo dove
lastricata (ma nulla nella Liguria di levante). Dove invece era su suolo capace di reggere il peso ed urto
delle ruote, o dove al massimo bastava un sovrastrato
ghiaioso (‘glareatus’: fu il metodo più frequente);
nel lungo tempo il tracciato divenne rapidamente deperibile e scomparve – sia
per poco uso, sia per variazioni dovute a mille frangenti: molti oggi sono i
percorsi nel ponente che sono diventati reconditi, sperduti nei boschi e
coperti di vegetazione, comunque lontani da quelli dell’Aurelia attuale.
3- Terza,
l’elemento naturale della viabilità
minore, di intercomunicazione con i centri vicinori e con le zone agricole o di pascolo. Lo dimostra
la Tavola del Polcevera: i territori contesi erano attraversati dalla Postumia,
citata tre volte nel bronzo (vedi), ma mai determinante a stabilire punti di
riferimento legali in quanto i territori contesi erano già spartiti da molto
prima della romanizzazione. Ma anche la lavorazione
di prodotti rari, come l’ambra, presuppongono l’esistenza di tracciati di
comunicazione, di pastorizia, di transumanza, che sicuramente furono di base ai
successivi tracciati “ufficiali”. Genericamente, della vita sociale locale
(detto ‘centuriazione) ed a maggior ragione per l’uomo del medioevo, semplice e
sprovveduto- è la terra, il territorio che lo circonda, i paesi che gli sono
vicini; e solo in questa ottica possiamo valutare tutti i lavori fatti dai
nostri avi: dalla rimozione delle pietre per farne muretti a secco ancor oggi
resistenti, al riporto della terra con ceste per alimentare striminzite fasce
sulle quali coltivare il necessario con tanta tanta
fatica. Ma per il minuto commercio legato alla sopravvivenza, altrettanto
creare strade transitabili, da sentieri a viottoli a carrettabili, vicinali o
di lunga percorrenza, ma sempre strade. Se la terra del ligure è povera, la
salvezza non da tutti venne ricercata nel mare (la ‘vocazione maritima’ fu quella dei pochi che si resero più visibili;ma
quanti dei mille-quattromila abitanti del borgo
possedevano una barca e marinai adeguati al piccolo commercio?). Pertanto la
vocazione del ligure fu nella sua caparbietà, tenacia e rudezza del carattere.
ipotesi
di tracciato nel genovesato tracciato ipotetico
della strada romana, di Miscosi
4- Quarta. La necessità di distinguere che, di ‘Aurelia’ ce ne fu più d’una. Pertanto, sono necessarie alcune distinzioni circa il tracciato delle varie Aurelie perché nel tempo ne furono tracciate almeno quattro, principali.
Da quella
---1) iniziale (come
tutte le strade romane, a pretto uso
militare: ce ne fu bisogno per
sottomettere i Liguri; comunque ovviamente mirate a raggiungere lo scopo nel
minor tempo possibile) ad altre
modificate nel tempo (usate per traffici commerciali e variati in
considerazione del variare della geologia (frane, allagamenti, ecc.) e delle
condizioni storiche (punti di sosta, stazioni di cambio di animali, dazi da
pagare, briganti, destinazione delle merci, ecc.) cosicché nelle descrizioni della
strada, va sempre specificato l’anno di valutazione
---2) quella classica, del 110 a.C.;
---3) quella il 13 aC. detta Iulia Augusta;
altre sono le successive:
---4) dal medioevo, sino al
fatidico e decisivo 1800.
Questa considerazione è una indispensabile premessa troppo spesso trascurata e quindi
generatrice di grossolani equivoci Infatti,
notevole confusione deriva nel leggere la strada come una e di uno stesso anno quando invece sono a
distanza di alcuni secoli, in tempi in cui queste cose variavano lentamente ma
con modalità estrema. A conferma dei possibili equivoci legati a notizie di
differenti epoche, riportiamo per esempio la descrizione di Pinelli il quale
afferma che la strada - dal nord della Liguria - arrivò a Vada Sabatia, dove piegò per raggiungere Dertona
passando nel territorio degli Statielli. É vero per quella
rifatta nel 13 aC., ma non esistono prove per riferirla all’Aurelia del 240, né
quella del 110 aC. Quindi, per
equivocare di meno, sono concetti di base:
--La
strada nasce per necessità militari: questo suffraga il senso prevalente, ossia da Roma alla Gallia, ovvero da sud a nord-ovest, con la relativa successione di località ed
intersezioni (con la Julia del 13 aC, in genere si procede in senso contrario
perché percorsa da Cesare al suo ritorno: quindi dalla Gallia verso sud, fino a Savona, con deviazione
verso Acqui essendo forse inutile passare da Genova). Ed altrettanto
per esempio a Rapallo c’è un ponte romano, ma accertato del XII secolo dC.: se è uno dei ponti più vecchi della Liguria, è pur
sempre romano del periodo medievale; come, probabilmente, le strade omonime di
Pegli, Quarto e Quinto.
--ne
deriva che parlare dell’Aurelia dell’anno 241 aC. è in buona parte un tragitto diverso da
quella del 115 aC., specie relativo al levante della regione. Quindi, il
tracciato, da Roma→Pisa (→Genova?) ad Arles,
non sempre è sovrapposto e passante preciso per le singole località.
Smottamenti, necessità o convenienze commerciali, tribù avverse, carenza di rifornibilità, mille
altri avvenimenti poterono aver modificato il percorso nell’arco di quei
duecento anni abbastanza selvaggi.
Lo studioso Tarallo, propone una cronologia sua, e scrive distinguendo un ---‘itinerario preistorico’ (che passava da Ameglia, Vezzano, Carrodano, Varese
Ligure); ---una ’Aurelia Scauri’ del 109 aC, che da
Luni passava sia da Sarzana che da Ameglia-Vezzano, e
poi da s. Stefano Magra (antico borgo dei Malaspina che nel 1314 divenne
proprietà di Castruccio Castracani e poi dei
genovesi) seguiva la Lunigiana (per Aulla- Pontremoli, passo della Cisa sovrapponendosi –nell’alto medioevo- alla ‘via Francigena’ che percorsa prevalentemente in senso inverso,
veniva da Piacenza-Fornovo e attraverso la Cisa-Luni portava a Roma); ---una ’Aurelia nova’ del II secolo dC che da
Vezzano arrivava a La Spezia-Carrodano,
e da qui valicava il Bracco a 615 m. slm; ---infine
una ‘via Aurelia litoranea’ alto
medievale, che da La Spezia seguiva la costa verso SestriLevante.
Nello specifico, mentre la “via Aurelia classica” è la terza delle sottodescritte, se ne riconoscono altre, di cui due antecedenti l’epoca romana. Ovvero prima della fine del III-metà del II secolo quando si fa iniziare la conquista militare della regione.
5-
Quinta. La parola ‘tracciato’, che diventa ‘tracciati’. Il primo, al singolare,
ha origine da un percorso preromano che è presumibile
(da essere Genova un emporio e da reperti nelle tombe di oggetti di origine
padana) ma ipotetico; rimane altrettanto presumibile ed ipotetico quale romano
‘di prima fattura’ (presumibilmente andato a
spezzettarsi e scomparire per manacanza di
manutenzione). Diventa romano ‘di rifacimento’
quello con tracce di epoca più recente (tipo la
via Iulia). Finisce al plurale quando legato alla
evidenziazione di una percorrenza uguale alla primitiva, ma con molte varianti
dovute alle diversificazioni antropologiche, geologiche, storiche, legate alle comodità di
rifornimenti, raggiro di ostacoli, esperienze sul campo, ecc.
Per comodità, distinguerò:
esempio di tracciato, nel Lazio
a)
Italia
--a1) sicuro per tutti, da Roma a Pisa (dal 241 aC) e
--a2) successivo da Pisa a Luni.
-b)
Liguria
a sua volta suddiviso in
--b1). Prima ipotesi. Da Luni a
Genova per via retroappenninica: Luni→Placentia →Postumia, via Dertona-Libarna. La parte finale, arrivante dalla Bocchetta e Folinae. Per noi sampierdarenesi, interessa solo il tratto
ultimo, quello di arrivo a Genova, se a
Genova arrivò = perché c’è chi sostiene che a Rivarolo-Fegino, la strada
Postumia proseguiva per Sestri e nel ponente, dove si abbisognava ad uso
prettamente militare.
--b2). Seconda ipotesi. Da Luni a
Genova per via litoranea di levante è il
tracciato segnato da quasi tutti gli studiosi; però altrettanto discusso perché
il più impervio e comunque privo di ogni traccia residua. Si presume sia stato
tentato, ma o abbandonato come progetto o non mantenuto, sia per l’impervietà
che per la non manutenzione.
c)
Genova
Numerose ancor oggi, da Nervi
a Pegli, la titolazione di ‘strada romana di ...’ tutte incluse
nel territorio di Genova; ma che non corrispondono a reperti stradali
riaffiorati quanto a sentieri molto antichi, non necessariamente romani dei
quali mantengono solo l’orientamento. È il tratto meno incerto e discusso
essendo il percorso costellato di reperti romani; ma, dopo il castrum, verso
ponente, si fermano alla chiesa di s.Tomaso (oggi
demolita) che era in zona Fassolo. Da qui, pressoché
tutti ‘saltano’ a Fegino, senza considerare
il toponimo ‘Pietra’ a Certosa.
Interessa noi genericamente, da Nervi a
Voltri. Per il circondario della città, rimarrebbe idealmente similare al
romano fino alla fine del 1700 - primi 1800. Poi, Napoleone prima, ma i Savoia
dopo, misero mano a lavori stradali che
sconvolsero qualsiasi traccia se ancora ce ne era una. In contemporanea, i nomi delle strade
cittadine acquisirono diretta dipendenza e competenza del Comune che
personalizzò più specificatamente i singoli tratti con nomi di persone o fatti
storici annullando localmente qualsiasi etimo dell’antico tracciato.
d) tratto di ponente
Nulla rimane da san Tomaso al Polcevera. E quindi tutto è aleatorio
Del
genovesato, esistono vaghe ma ripetute tracce, praticamente solo nell’estremo
ponente e quasi sicuramente non riferibili al primitivo tracciato ma a
rifacimenti -pur sempredi epoca romana- successivi al
primo (la Julia).
Di
esso, nella nostra trattazione, interessa unicamente il nostro tratto, quello
iniziale: infatti, per noi di San Pier d’Arena, le modifiche vanno anticipate
al 1630 con l’erezione delle mura, ma soprattutto alla successiva apertura
della strada litoranea che cancellò l’uso del tracciato romano di
Promontorio-Belvedere.
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Riassumendo e definendo in ordine cronologico, abbiamo:
1 -Via Heraclea o – latinizzata - Erculea.
Alcide
era figlio di Zeus che sedusse Alcmena – nipote del mitico Perseo re di Micene
– assumendo le sembianze del marito (durante l’assenza del marito stesso,
Anfitrione re di Trezene nell’Argolide,
spedito da Giove lontano da Tebe a combattere);
l’amplesso durò tre giorni, dato che Zeus aveva fermato il tempo. Era, moglie
di Zeus, perseguitò il frutto del tradimento prima mandando dei serpenti ad
Alcide e poi accecandolo con l’ira. Durante un eccesso d’ira, uccise prima il suo maestro e poi moglie e
figli.
Per
espiazione, l’oracolo di Delfi gli impose obbedire al cugino Euristeo, che lo avrebbe portato all’immortalità. Alcide allora cambiò nome,
assumendo quello di Eracle (gloria di Era); ed Euristeo gli impose
12 imprese (chiamate ‘fatiche’).
Il
mito di Eracle fu ripreso anche con altri nomi, nelle
descizioni di altre culture antiche: Ercole per i
romani; Gilgamesch per i babilonesi; Melquart per i fenici; Maceride
per gli egizi. Probabilmente sono tutti grandi guerrieri o grandi navigatori:
ovvero gente che con le conquiste allargarono i confini territoriali e
culturali di quelle popolazioni, ovvero
che resero inoffensive tutte le paure dell’estremo territorio inesplorato
(draghi, mostri, insidie) che loro uccidevano e rendevano possibile e sicuro
l’approdo marinaresco.
Erodoto
(Storie, II) lo descrive come ‘sentito dire’. E che
aveva visitato un santuario eracleo a Tiro, dove i
sacerdoti gli assicurarono che il nome del tempio era contemporaneo alla
nascita della città di Tiro: e sappiamo che essa era abitata da 2300 anni aC.
Risale alla mitologia, quindi sarebbe preistorica e di fantasia, ma risalente a cavallo tra l’epoca di Micene (da -2200 a -1100 aC) e quella seguente
Infatti,
cronologicamente : --1--esisteva
dal -3000 al -1500 aC la civiltà- minoico-cretese. --2--Essa fu soppiantata nel -1400 aC da quella acheo-micenea, capace di sfruttare le rotte marine sempre
più allargate verso oriente ed occidente. --3--La guerra achea di Troia risale al periodo
1186-1184 e qualcuno la attribuisce alla vittoria sui mostri e constatazione
che chi impediava ai naviganti di tornare erano altri
uomini che imponevano pesanti tributi alla navigazione verso l’oriente. –4—poco dopo il -1500
l’impresa di Giasone. Si pone tra la 4° e la 5° fatica di Ercole, il quale
abbandonò l’impresa prima che si realizzasse. Con gli Argonauti avvenne
l’impresa del vello d’oro, preso ai Colchi (custode
del vello era Eeta, figlio del Sole – Apollo - che
sorge da oriente, re della Colchide - posta a oriente
del mar Nero, estremo conosciuto allora, alle falde del Caucaso - ove era
incatenato Prometeo assalito dall’aquila avida del suo fegato. Quindi l’estremo
oriente conosciuto, dove sorge il sole. Il ritorno fu una fuga,via terra,
inseguiti dai Colchi infuriati:impediti a scendere
verso la Grecia, proseguirono in parallelo ed arrivarono nella pianura padana,
entrando a contatto con i Liguri, per scendere all’Elba e ad Eea dalla maga Circe, sorella di Eeta
e custode del tramonto del sole, ad occidente. Sono il simbolo di una
migrazione di popolo, da oriente in Italia --5--Le imprese furono dodici ed avvennero nel
periodo attorno al -1500 aC. Richieste da Euristeo,
re di Tirinto (allora grande come Micene) appaiono
come invii di un eroe ad uccidere le paure ad allargare i confini
territorialmente e commercialmente. Le prime 6 tutte in Grecia, per allargare
le rotte prima verso l’oriente; le ultime verso l’occidente.
Coinvolge
la Liguria il decimo
impegno impostogli da Euristeo re di Tirinto (in un golfo
del Peloponneso): di portargli la mandria di buoi di Gerione, che era Ligure in quanto abitava in Erythia, (isola di Minorca nelle Baleari). L’eroe arrivò nell’isola passando da sud (Grecia, Libia, Sardegna, Minorca,
traversando il mare navigando su una coppa regalatagli dal dio Sole). Prese la mandria,
uccidendo a colpi di clava sia il cane a due teste, sia il guardiano Eurizione, sia il proprietario, sia chi tentava di rubargli
i capi (evidentemente esistevano già
predoni, per i quali il furto di bestiame, detto abigeato, poteva essere
usuale) in
particolare altri liguri che cercarono di fermarlo nel territorio di Nizza (tribù
comandate da Ialebione e Dercino
– il primo ha un nome che ricorda AlbaIntemelium e/o AlbaIngaunum; il secondo - da altri autori - ha il nome
variato).
Superato anche questo ostacolo, si trovò le Alpi. Tito Livio
propone un tragitto risalente il Rodano e traversante le Graie (il loro nome
appunto da il ‘greco’). Ma più probabile il tragitto litoraneo parallelo alla
costa (lo dimostrerebbero gli antichi nomi
Heraclea Cacciababia
Porcaria di saint Tropez,
di Heraclea Monoecis di
Monaco, e Herculis Fanum di
Massa Carrara fino a Portus Ercolis,
seguendo appunto i tracciati dei micenei e poi – da lui - dei greci.
Questo
mito viene venduto come vocazione della Liguria al transito – marittimo e
terreno - tra il centro Italia e la Gallia. Fa
riferimento ad epoche ancora prima della apertura delle strade romane vere e
proprie. Quindi percorsi di mercanti acheo-micenei
(alla ricerca di miniere rame; una conosciuta è nel Tigullio,
sfruttata già dall’enolitico, ovvero da -2800 a -1800
aC) con un rapporto di amicizia e protezione con i liguri stanziali e
scavatori, per i necessari baratti – Aristotele scrive addirittura che esisteva
una specie di patto per cui i greci erano protetti nel percorrere i sentieri, a
meno che commettesero reati contro le popolazioni.
Gli storici greci Eschilo (525-456 aC), nel 460aC. e Diodoro Siculo (90-20 aC)- riferirono il mito di Ercole: per essi, egli proveniente dall’estremo occidente (dalla “finis terrae” dell’Atlantico, le mitiche colonne d’Ercole, quindi Spagna)- arrivò - via terra - a Roma dovendo spingere i sacri buoi rubati a Gerione. Non si precisa che attraversò la Liguria attuale, ma che dovette combattere coi liguri (i quali abitavano anche la pianura padana occidentale) e fu salvato solo per intervento diretto di Giove. Non fa testo, ovviamente, ma esprime l’idea di un itinerario già esistente, da Roma alla Spagna e Gallia Narbonese.
Altri
studiosi attribuiscono questo nome alla Postumia, in considerazione delle difficoltà che comportarono aprirla, pari ad una delle
fatiche del mitico eroe ed anche raccogliendo lo scritto di Tito Livio il quale propose non il tragitto costiero quanto la
risalita del Rodano e l’attraversamento della Alpi Graie, discesa in pianura
Padana e ritorno in Liguria.
Genova era prevalemtemente un comodo approdo per il piccolo cabotaggio
che navigava sotto costa dalla Sicilia alla Provenza per commerci con paesi sul
litorale. Prima della strada era quindi un piccolo porticciolo assai
frequentato, ma pur sempre di solo passaggio. Solo dopo l’apertura delle
strade, Genova divenne anche ‘emporio’,
fulcro dei traffici –e quindi percorsi- verso e dal nord (per il verso
mare-monte, far arrivare le merci sino a Cremona da dove aprirsi a ventaglio
verso Torino, Milano, o proseguire fino ad Aquileia).
Prima e durante l’epoca dell’impero romano, si presuppone l’esistenza di una rete viaria interna. Lamboglia nel 1939 scrisse che – ed è cambiato poco da allora - la conoscenza della Liguria ha valore sino al IV secolo a.C.. Ed è già tanto. Imperfetta è la conoscenza delle date precedenti che si erano concluse con l’invasione dei Celti (appunto in quegli stessi periodi ) i quali accentuarono le differenze tra i Liguri della pianura padana (pastori, agricoltori), da quelli del mare (marinai e pastori) e da quelli delle montagne (i più poveri, primitivi e barbari). La Tavola del Polcevera dimostra che esisteva un collegamento oppidum-entroterra dei genuati, che sconfinava con quello dei Langati, e fa presupporre che esso esisteva prima ancora della Postumia: tutta una rete composta da sentieri, mulattiere chiamate ‘vicinali’, al massimo carrettabili a slitta, perché utilizzate per connettere tra loro le contrade circostanti; anche se di difficile percorrenza (non solo per l’impervietà del terreno ed il groviglio dei boschi allora assai floridi già nel primissimo entroterra, ma anche per l’intemperanza del tempo: se i viandanti erano autonomi o il tempo asciutto, si faceva preferire il greto dei torrenti; se bisognosi di contatti cascinali per baratto di merci, animali e soccorso o pioveva o nevicava era meglio stare a metà quota).
2 - Vie
preromane
nome improprio per indicare i tragitti più o meno costieri tracciati sia da mercanti per abbastanza intensi contatti commerciali negli anni antecedenti il III secolo; sia dai pastori (i Liguri erano conosciuti prevalentemente quali allevatori; meno come cacciatori, raccoglitori di frutti selvatici, guerrieri feroci e spesso mercenarii); sia dalle prime legioni romane mandate a conquistare quelle terre (e che per ottenerlo, ci misero pressoché un secolo). E quindi precursore della ‘strada’, probabilmente spezzettati, non curati e non continuativi perché di epoca incivile; legati a traffici e guerre tra tribù.
La conquista romana inizia ad essere consistente dal III secolo a.C .Per i romani, chi non era loro, era ‘barbaro’: tutti eguali, a oriente e ponente.
In Italia
le strade romane sono ancora tutte attive e prendono i loro nomi
o dai magistrati - censori o consoli - che ne ordinarono la costruzione (Flaminia, Emilia...) o
dalle località di fine tratta (Ardeatina
fino ad Ardea, Anagnina
ad Anagni...) o dal loro primario utilizzo (Salaria dal
trasporto del sale).
Per poter procedere verso nord, i romani trovarono sufficiente facilità nei territori al di là - ad oriente - dell’appennino, sino oltre la pianura padana e, con essa, i liguri della pianura. Le prime necessità nacquero con le prime guerre di confine (guerre romano-galliche 284-282 aC). Esse obbligarono i romani a dominare in forma completa le terre sino a quel confine e così nell’anno 280 a.C. finirono col sottomettere definitivamente tutta l’Etruria. Ma sempre acri erano i rapporti con i Galli, vinti ma non completamente sottomessi. Infatti se li trovò nemici, nel 241 aC all’epoca del primo conflitto punico.
Ben
diverso sulla strada costiera: a parte i terreni paludosi dell’alta Etruria, gravi difficoltà essi dovettero incontrare prima
con gli Apuani e poi in Liguria: ribelli i primi, di
transitabilità nella riviera di levante, con le guerre romano-apuane dal 238 al 180 aC con
prime vittorie romane dei consoli Tiberio Sempronio Gracco a cui succedette
Quinto Fabio Massimo fino all’ultima con P.Cornelio e
M.Bebio e conseguente deportazione (Sino ad allora,
dalla parte a mare dell’Appennino, i tracciati erano come da epoca protostorica ‘di crinale’, ovvero
da tribù a tribù (pastorizia; limitati per agricoltura e scambi) a loro volta
per lo più dislocati sulle alture. Quindi - anche se poi usati comunemente per
i collegamenti dai romani per la
ristrutturazione agraria, e da loro chiamati ‘centuriazione’- quasi mai erano
utilizzabili per collegare due grossi centri
(tipo Piacenza e Genova) per il quale era opportuno un tracciato a fondovalle o al massimo a mezzacosta), e di popolazioni dei secondi, abitanti della
riviera di ponente, laddove il loro passaggio attraverso le terre liguri, col
monte Bracco per primo, non fu gratuito: le varie tribù posero serissimi
problemi di accettazione al punto da essere storicamente stigmatizzate quali “guerre romano-liguri” che impedirono la
rapida conquista del territorio, specie gli ingauni
sconfitti solo nel 181 aC da L.Emilio Paolo. Probabimente i romani trovarono la strada
inaccessibile ed abitata da gente neanche pacifica: le frequenti
ribellioni dei Liguri - giudicati
‘nemico, quasi nato apposta per esercitare la disciplina militare dei Romani’; con la fama di spergiuri, sleali, briganti, falsi,
ignoranti e bugiardi -
l’asprezza del terreno e le più fiorenti civiltà centropeninsulari
avevano determinato il disuso e quindi la decadenza del passaggio in
Liguria, a vantaggio del trasporto marino). Pertanto, anche per i romani, i
trasporti furono preferiti via mare perché meno costosi, più veloci e più
sicuri; anche se il geografo Strabone aveva definito
la Liguria “alìmenos”, ovvero carente di porti
naturali: solo rade o ancoraggi poco profondi ed esposti ai venti (però
personalmente non era mai venuto, e scriveva -in greco- per sentito dire).
Si sentì così il bisogno di aprire una strada
militare costiera, da Roma verso le nuove colonie del nord sottratte agli
etruschi (Fregene, Ladispoli,
SantaMarinella, Civitavecchia
(Centumcellæ)), Luni in particolare, e
che possibilmente superasse le difficoltà su descritte ed anche per raggirare
le possibili invasioni (come poi avverrà con Annibale) tramite le strade
centrali.
Anno
239 aC. È accettato da
tutti, che questa fu fatta iniziare e costruire in questo anno e seguenti da Caio Aurelio
Cotta, console o
censore nel 241 aC.; dal suo nome
chiamata poi ‘strada Aurelia’ o “Aurelia vetus”. Si conosce anche una ‘via Cornelia’ (che qualcuno definisce lei, la Aurelia Vetus), che usciva da Roma dall’odierna porta di san
Pancrazio sul Gianicolo, e si univa alla precedente
presso Cerveteri.
Da Roma (già cinta da mura imperiali) la strada usciva dalla porta Aurelia (posta vicino al ponte di sant’Angelo, attraversava il ‘pons Aurelius’ e, passando ai piedi del Gianicolo), si avviava seguendo la costa tirrena, attraversando l’Etruria fino a Pisa (importantissimo centro militare romano, porto e base operativa pari a quello di Piacenza nella pianura padana), dopo aver bonificato in parte gli acquitrini e paludi presenti nella fascia costiera sia laziale che toscana. Da Pisa, nessuno specifica se deviò verso la pianura e se procedette al di qua dei monti usufruendo di quei percorsi su detti, persistiti sempre e solo come tratturi, al massimo sentieri. Sicuramente essi furono importanti specie nella riviera di ponente, perché usati sia per allacciarsi alla ‘via Domitia’ (che era già funzionale alla fine del II secolo a.C., e che attraversava il sud della Francia raccordandosi ai Pirenei con la ‘via Augusta’ che a sua volta attraversava la Spagna sino a Cadice) e sia perché già conosciuti e più facili ad essere riadattati.
Anno 218 aC inizio della
Seconda guerra punica
Si presume che il Console Cotta non riuscì a completare il
tracciato per l’insorgenza del nuovo
grande conflitto. Quando Annibale proveniente dalla Spagna - percorsa la Gallia meridionale - scese in Italia (2ª guerra punica)
seppur trovò numerosi Liguri pronti ad associarsi con lui (riconosciuti come
uomini abituati alla povertà, molto bellicosi e crudeli), certamente non scelse il percorso litoraneo,
teoricamente più breve e diretto e neppure usò la via marittima - pur
possedendo una grande flotta, però dispersa a soggiogare il mare Tirreno tutto
monopolio cartaginese e dei pirati liguri -, ma gli
fu d’uopo preferire - e non fu cosa da
poco - valicare le Alpi affrontando le nevi ed i ghiacci del passo montano.
Furono i romani che usarono la via mare (Livio descrive che il
grosso dell’esercito era vicino a Padum mentre si
tenevano ’exiguis copiis Genuam’; nello stesso anno Publio Scipione giunse in porto
con sessanta navi da guerra, probabilmente pensando – o così informato - che
Annibale proveniente dalla Gallia scendesse lungo la
costa; quando seppe che invece valicava le alpi, dovette lasciare qui la flotta
e con piccola armata si diresse - seguendo probabilmente un tracciato di crinale - verso il Po dove
due altri pretori avevano portato il grosso dell’esercito). Ciò malgrado, i
romani persero la battaglia.
Parte dei Cartaginesi, dopo la
vittoria di Canne (216
aC.), guidati da Magone tornarono in Liguria, fecero confluire una adeguata flotta e da Vado
si mossero contro Genova perché alleata a Roma, anno 205 a.C. (l’’oppidum’ fu
saccheggiato, distrutto, raso al suolo, i difensori uccisi o trascinati in
schiavitù; ancor oggi in dialetto, dire ‘avere il magone’
ha il significato di voglia di piangere). Dopo l’incursione, Magone tornò
a Savo (Savona) ove depositò il bottino. La seconda guerra punica
terminò con la battaglia di Zama (202 aC.). Due anni dopo,
il Senato romano inviò il pretore Spurio Lucrezio con 8000 soldati per ricostruire la città, ed in
contemporanea fece spianare in fretta molte strade nella vallata del Po, ma
assai poco o nulla in Liguria (venendo questa posta in considerazione secondaria).
Negli anni intorno al 200 aC, il censore L.Aurelio
Cotta (nome simile al precedente, ma persona diversa) raggiungeva - probabilmente
via terra - Genua, aprendovi una terza (dopo Pisa e
Luni) base navale, nominando la città ‘civitas foederata’.
I
genovesi non sono più barbari, ma romani ; e
ciò sarà esteso ai Liguri tutti con definitivo riconoscimento nel 89 aC con la Lex Pompeia che concesse il
diritto di essere latini – e quindi romani - a tutti, compresi quelli che non
erano già da prima “civitas foederatæ”.
Le
guerre non erano finite e le popolazioni non del tutto erano domate: Livio (XXXII,29,6) narra infatti che nel 197 aC. il console Quinto Minucio
Rufo (Luccardini lo chiama Q,M. Termo) raggiunse Genova lungo la costa per andare a
combattere i ribelli Galli cisalpini in territorio Ligure; non dice esplicitamente, ma
fa capire se al di qua o al di là dell’Appennino ma fa capire che per necessità
di tempo, fu proseguita una via tirrenica fino a Genova ed oltre.
Questi eventi militari,
apparentemente poco ravvicinati ma importanti per la politica di Roma, sicuramente imposero poter intervenire con
sicurezza e massima rapidità. Annibale aveva determinato un impellente
interesse all’apertura di una strada costiera. Al contrario, mentre le operazioni procedeva leste e
fruttuose al di là degli Appennini, in Liguria le operazioni stradali erano
stagnanti e sembravano insuperabili. Nel 178 aC due consoli, Bebio
e Cornelio – per ordine ed a spese del Senato romano - furono artefici di un esodo di 40mila liguri-apuani
verso il Sannio. Solo dal 172 aC circa, terminarono le guerre
di Roma sia contro i Liguri-ingauni, ma pure contro
quelli d’oltregiogo: i Friniani – dai monti modenesi - ed altri Piacentini, del
magra ed Apuani.
Si pone la data del 155 aC. la
drastica fine della guerra romano-apuani quando il console Claudio Marcello, dopo
decenni di logoranti battaglie riuscì ad imporre in Liguria una pace abbastanza duratura e Roma si trova così padrona sino al Magra e sino a tutto il
sud del Po. La Liguria divenne la IX Regio (con
la VII-Etruria a sud,
gli Iberi a ovest; i Celti a nord; i Reti a
nord-est; Umbri a sud-est). Posizione significativa
perché il passo dopo fosse conquistare definitivamente i Liguri del nord Italia,
sia di qua che di là dell’Appennino e riprendessero i progetti di una strada
costiera più ben definita.
Si pone all’anno 150 aC la
completa romanizzazione della Liguria costiera.
Nel 148 aC, cronologicamente va
segnalato che dal console Spurio Postumio Albino fu aperta la via Postumia (vedi) e che nel 123 a.C. era stata varata la ‘lex Sempronia viarum’ (obbligo di fornire periodici posti di guardia sia per
il solo cambio dei cavalli e sia per dare ospitalità; ed in più fece divenire
d’uso generale le ‘pietre miliari’ normalmente alte
due metri e mezzo, e larghe mezzo metro, poste a mille passi. Il miglio romano
era = 1,5 km.).
.
3 -via Aemilia Scauri
– Strabone scrive che dal 115 aC. al 109 a.C il console Marco Æmilio Scauri (poi, nel 109 aC divenuto censore), ebbe l’incarico di ricuperare i lavori fatti da Caio Aurelio Cotta e rifare e proseguire la strada litoranea oltre Pisa (idealmente ad intersecare la Postumia e proseguire fino a Vada Sabatia, considerando fattibile unl collegamento con Piacenza passando anche dal Colle di Cadibona), sempre ovviamente ad uso militare.
Si procedette al restauro, miglioramento e rifacimento della strada costiera, in modo così radicale da essere considerata - non la nuova - ma la vera “via Aurelia” consolare.
Era una della numerose che si diramano da Roma, nata come le altre dall’esigenza di collegare la città con le colonie del nord.
1° TRATTO (da Roma a Pisa).
Non dovettero sorgere particolari difficoltà – escluse le zone paludose
-. I lavori dovettero arrivare a questa mèta assai rapidamente.
2° TRATTO (da Pisa a Luni).
Anche da Pisa, non dovettero sorgere gravi difficoltà: i sentieri – per
farli divenire strada consolare - dovettero essere in genere allargati a 2
metri (ovvero 8 piedi, pari a 32 palmi romani) e furono proseguiti nella piana
del Magra sino alla città di Luni (ove oggi è Carrara), allora già munita di un
importante castrum, grosso quanto quello genuense.
Qui giunti, la strada ebbe un primo riconoscimento quale “via ‘Emilia
di Scauro’
ma poi, per non confonderla con l’omonima più frequentata e nota, che
unisce Roma con Rimini, fu chiamata come in antico: Aurelia.
A
questo punto, per Roma era stato soddisfatto il bisogno di sottomettere gli
etruschi; adesso occorreva mettere a freno le popolazioni liguri per potersi recare nella Gallia
Ma questo tracciato costiero, proprio a questo punto, rimarrà
interrotto per secoli, ia per le paludi nella zona dell’attuale
Versilia, e sia per gli Apuani
che opposero ostinata ribellione. Si descrive (e così rientriamo nelle
supposizioni) che il console preferì deviare; e, per raggirare l’Appennino
arrivare a Lucca; o risalire per la Garfagnana (forum
Clodii) (vedi sotto).
Allacciarsi
quindi al percorso interno (che poi nel medioevo verrà chiamata francigeno), e collegare Piacenza - tramite la Postumia - col mare ma a Vado Sabatia.
3° TRATTO: (da
Luni a Genova)
---Quando Marco Emilio Scauro si ripropose
riattare il percorso da Luni a Genova, quello precedente, se c’era stato, era
praticamente sparito.
Dopo aver confermato il controllo militare di tutta la fascia
litoranea e di un entroterra di molti chilometri, gli si proposero due possibilità diverse: rifarlo (difficilissimo, con le
attrezzature di allora; ma la Postumia doveva essere stata peggio) o raggirarlo. A farlo decidere bisognerebbe
sapere di quali mezzi disponeva (schiavi, soldi, rifornimenti, tempo) per decidere in un senso o nell’altro.
=1===Alcuni studiosi propongono abbia scelto la via retroappenninica, leggendo Strabonio che scrive in greco una frese sibillina in quanto interpretabile in due modi: «la via passando per Pisa e Luni, sino ai Sabazi, e di qui passando per Tortona». Questo gruppo di Studiosi considera che da Luni, la strada deviava verso Parma, raggirando l’Appennino ad oriente, e non penetrando in Liguria (essi hanno accusato gli altri di aver ‘manipolato’ le vaghe informazioni, andando contro la logica romana che vedeva: aprire sì, una faticosissima strada seguendo la via diritta - poiché più breve - ma solo se il tracciato lo consente per scopo preciso militare (il che, nella riviera di levante non c’è). In più, - specie in epoca fascista - di aver cercato in ogni modo di romanizzare la Liguria).
Per loro quindi la strada da Luni risaliva il
Magra, attraversava il passo della Cisa, raggiungeva Fornovo (Forum Novum) arrivava a
Parma, e attraverso Veleia raggiungeva Piacenza; da
qui, a Tortona (allora
Derthona) si allacciava alla Postumia che
scendeva nel genovesato attraverso la Bocchetta.
Molte fonti, compreso Puncuh,
accettano prefenziale questa possibilità e confermano
che da Luni, si preferì passare a levante dell’appennino
lungo la val di Vara, raggiungendo Tortona. Da qui si
poteva: sia arrivare a Genova percorrendo la Postumia (Tortona-Novi-Libarna-Arquata-Pontedecimo);
e sia invece, ma dopo nel tempo, deviare via Acqui
per arrivare a Vado (in latino Hasta) e Savona.
A vantaggio di questa tesi c’è anche che dal 187 aC
era stata completata la via Emilia Lepidi (tra Rimini e Piacenza, costruita da M.Emilio Lepido). Allacciarsi ad essa ed alla Postumia,
rappresentava un tracciato più lungo per arrivare a Genova, ma sicuramente già
mezzo fatto e di maggiore completezza organizzativa.
La ‘fetta’ di Liguria racchiusa tra il mare e il monte, non è mai piatta; o sale su crinali ripidi, rocciosi e boscosi, o ha un fondovalle impervio alternante piccole baie inaccessibili a promontori a perpendicolo. Abitata da gente aspra come la terra. Non facile. Il più del tragitto occorreva portarlo in alto, tra i boschi che, per loro caratteristica, ingoiano qualsiasi opera dell’uomo se non mantenuta regolarmente.
In conclusione questi studiosi contestano che questa strada sia mai esistita sul nostro territorio in epoca di Roma.
=2===Altri propongono la via costiera, leggendo «la via passando per Pisa e Luni,
giungeva ai Sabazi, e da qui a Tortona».
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che taluni sentieri e mulattiere preesistenti in val di Vara e fino al passo del Bracco probabilmente usati dagli antichi Tigulli fossero tratti della Via Æmilia Scauri che ipoteticamente penetrava nell'entroterra, toccando, l'odierna Moneglia; oltre, oggi Sestri Levante, la strada proseguiva in prossimità della linea di costa salvo nei tratti in cui la particolare morfologia della costa ligure non consentiva alternative, ad esempio in corrispondenza del promontorio di Portofino. Nell'ipotesi del percorso costiero, la strada che collega Vada Sabatia a Derthona (l'odierna Tortona) e considerata il prolungamento della Via Æmilia Scauri verso il versante padano.
Questo
gruppo di studiosi meno accreditati del meticoloso Nino Lamboglia, accetta il
percorso ligure sfruttante sentieri e stationes usate
per comunicazioni e commerci locali, tipo quelli viciniori, tracciati dai
pastori e commercianti delle singole tribù (preromana).
Ma non si trova alcuna traccia consistente né di toponimi dell’epoca, né di
manufatti. Presumono (alcuni lo danno
tout court per certo), che, a tappe, la
strada raggiungesse Borghetto Vara, Mattarana, superasse il Bracco (forse l'antica Boron) a quota 600 (dove son stati trovati
resti di strada romana ma medievale; con una deviazione per scendere a Moneglia - Ad Monilia -) e raggiungesse
Sestri Levante - Segesta Tigulliorum - e poi Genova. Se
così fosse, il tragitto in buona parte fu quello già tracciato ottant’anni prima e
per ciò da alcuni detto “Aurelia nova”
in contrapposizione alla precedente di C.Aurelio
Cotta che diventa “Aurelia vetus”.
Nella tavola pteuringeriana
risalente al III secolo d.C. la strada costiera da Luna verso Genova appare
interrotta. E quindi prendiamo atto che così era diventata nel III secolo dC.; non significa che non ci fosse stata nei secoli
precedenti.
Sicuramente, per il tratto dopo Luni, sia che la strada continuasse
passando di qua o di là degli Appennini, a M.Emilio Scauro mancò il tempo e forse i finanziamenti o le
motivazioni (soldi, soldati, schiavi, materiale ed attrezzi,
vettovaglie, ecc.) per apportare
alla sua via (aperta in situazioni impervie:
“impeditissimum ad iter faciendum”), tutte le rifiniture proprie delle strade
romane;
cosicché rimase una arteria di mediocre fattura ed interesse, e tale da non
giustificare nei tempi successivi
imponenti lavori di rifinitura ed assestamento. Sappiamo
che per questo tracciato, il console fu coinvolto in un processo sollevato dal
tribuno Limetano nell’anno 110 a.C.: fu accusato di essere stato corrotto e di essersi
arricchito con “le vie liguri”: ciò provocò grande scandalo a Roma. Alla fine
comunque, il console fu assolto (difeso
da Cicerone nella sua ‘pro M.Aemilio Scauro oratio’).
Per Puncuh la strada sarebbe stata
costruita, ma poi abbandonata, sia per la natura del suolo, sia per la
cessazione dei motivi per cui era stata costruita (cioè la soggiogazione
completa dei Liguri e dei loro confederati), sia per le invasioni di popoli per
questa via (soprattutto i Longobardi annidiati a Luni
ed i saraceni a Frassinello; ma poi anche il duca di
Milano ed i marchesi del Monferrato) ed infine ma soprattutto per mancanza di
manutenzione (solo restano alcune colonne miliari ed alcuni tratti da Vado alla
Francia: tra Albenga ed Alassio, a Ventimiglia (ritrovato nel 1948); o dei ponti
nel savonese (Quazzola e val
Ponci), nel finalese e colle di Cadibona).
Per Pinelli,“il percorso dal Vara a Vado era costiero ma con
rientranze frequenti per evitare i punti più irti delle scogliere, e come
la moderna via Aurelia, correva a volte
più vicina, a volte più discosta dal mare”. La Praga invece sconfessa che sia
esistito il tratto dal Vara a Vado, quindi di Genova, perché senza
reperti; ed accetta quello da Vado alla
Provenza, ricco di manufatti e rovine.
4°
TRATTO: (in città),
L’archeologia cittadina è ricca di ritrovamenti, reperti e frammenti di
insediamenti preromani (ceramiche in necropoli e nell’oppidum;
in particolare in piazza s.Maria in Passione) e romani (relativi all’oppidum di quei
tempi, presso il colle di Castello e di Sarzano.
Tracce di strade sono stati trovate solo nell’attuale via san Vincenzo, XX
Settembre, chiesa-monastero di s.Silvestro (vedi
testo di Milanese),via D.Fiasella). La necropoli ha
dato reperti databili tra il V e IV secolo aC.. Ma nessuno di strade fatte alla maniera romana.
A
ponente, fuori
delle mura di allora, e quindi lungo la strada verso San Pier d’Arena, reperti
– e non strada - risalenti all’epoca romana furono trovati solo presso l’antica
chiesa di s.Tommaso ed a Fegino.
Sappiamo
che Genova, prima della Postumia, era un punto saliente di attracco nella
navigazione sotto costa, diretta ed in arrivo dalla Provenza. Ma dopo divenne
un emporio sempre più fiorente e assai ricco, al punto che nel periodo finale
dell’Impero romano (nel II secolo dC) già era punto
cardine di smaltimento dei traffici marittimi del Mediterraneo verso il nord
Europa (Palermo al
centro, Olbia di transito, Genova finale; specie per le merci dirette a nord,
dal frumento alle carni, dai berretti alle scarpe, dalle sete all’oro, dai
marmi agli schiavi). Strabone
(geografo greco del I
secolo) menziona Luni e Genova come ‘emporion’=deposito per poter commerciare, e non ‘limen’=porto di arrivo a fine; ed i prodotti di transito i più
svariati: legname, miele, uova, vino, olio, pelli, lane. Lo stesso Plinio (eguale epoca del precedente), chiama Genova ‘oppidum’, e collega l’etimo Genua
con ‘bocca o scalo’.
Nei secoli romani, le mura genovesi erano limitate
alla prima cerchia, in zona attuale di SantaMaria di
Castello da cui già partiva un nutrito reticolato di mulattiere dirette a nord. Da esso verso ponente, il pellegrino
poteva dopo aver attraversato la
periferia sino a Prè e seguito il litorale
pressoché disabitato, arrivare all’attuale Fassolo
e poi DiNegro. Da qui per trasportare merci ed
animali, poteva seguire tre strade ovvie (ma le prime due abbastanza impervie
per acerba salita iniziale) A)
salire a Granarolo, e da lassù proseguire in diretta; o B) aggirare sul mare il colle di san Benigno
per arrivare nel terreno chiamato Coscia (“seu calatam Calandrini”); non fu mai usato perché troppo
ripidamente scosceso, malagevole, pericoloso; poi sarebbe stato necessario
attraversare il Polcevera nel punto più largo e solo quando era in secca; oppure
C)
il più logico: vede facile ascendere il colle (per l’attuale salita degli
Angeli (Palumbo scrive che in
questa zona davanti alla chiesa durante le opere di scavo per la metropolitana
furono ritrovate tracce di un ponte – ma non romano, medievale del XII secolo - proprio orientato verso salita degli Angeli;
ovviamente fu distrutto o coperto).
Di
fatto, Genova città e suo territorio una volta sedati i Liguri, divennero
genericamente esclusi dalla rete stradale commerciale e militare a carattere
nazionale o internazionale di quei tempi (in pratica esclusa anche dalla
capillare diffusione della civiltà romana). Il pareggio culturale avvenne
beneficiando, per vocazione spontanea della città ai rapporti navali, essendo
questi applicati da famiglie su itinerari molto estesi, non solo ’nazionali’ ma anche con culture multiformi, comprese quelle
orientali.
5° TRATTO (da Genova al ponente).
A ponente dell’oppidun genuense,
di questa strada, se già c’è stata, nulla è effettivamente rimasto, al punto
che è lecito dubitare dell’esistenza stessa di essa (Puncuh segnala il ritrovamento ‘nei pressi
di Cornigliano’ (nome proveniente dal nome latino Cornelius)
di ‘materiali di età repubblicana ricordo di una
antica proprietà fondiaria’.
A) se la strada ci fu, allora per noi sarebbe di interesse solo sino a Certosa, dove nel punto più ristretto e in direzione Fegino poter traversare il Polcevera per andare a Sestri: Infatti, in epoca romana, se il lungo entroterra era abitato, sicuramente non era fattibile percorrerlo causa il promontorio di san Benigno, e nemmeno attraversare il Polcevera laddove, non essendo incanalato, si slargava in una foce un pò... a delta quanto abbastanza per divenire poco traversabile anche nei periodi di secca.
Come già detto sopra, essendo in questo studio prevalente l’interesse per SanPier d’Arena, tratterò la ‘via Aurelia’ nel nostro territorio, tralasciando quella dal Polcevera a tutto il ponente. In tutti i casi, pressoché sicuramente, in epoca romana la nostra spiaggia veniva completamente by-passata – come anche quella di Cornigliano che però trarrebbe il suo toponimo da un “Cornelius” probabile tribuno romano divenuto ‘gentile’ – non sappiamo se aC. o dC. - e premiato con un fondo terriero: questo tipo di colonizzazione delle terre intorno all’’oppindum’ può benissimo essere stato l’inizio altrettanto per noi, ed a maggior ragione considerato la maggiore vicinanza al ‘castrum’ stesso.
Ed anche, come già detto, diamo
per scontato che non fu una strada romana, intesa stratificata e coperta di
lastroni; ma piuttosto che fu un tracciato non elaborato, mercantile, percorso da slitte trainate da buoi o al
massimo da muli, quella che dal passo sul colle di san Benigno, che
rimaneva sulla mezzavia alta, trascurando il nostro lungo litorale allora anch’esso
praticamente deserto, per
camminare in costa per un breve tratto fino alla sede della pietra
miliare (probabile posta alla sommità
dell’attuale salita Bersezio), da dove si poteva proseguire - o in basso, verso il mare-; -o
in alto dal Crocetta verso Garbo e Begato-; oppure
proseguendo diritti, scendere (usando via della Pietra (miliare), attuale salita Bersezio) per arrivare all’incrocio col torrente Torbella
ove esisteva un bivio, a livello del quale: a) proseguire la via costiera
attraversando il Polcevera (circa dove ora è l’abbazia di san Nicolò del Boschetto, - con un ponte,
perché è il punto, a valle, più ristretto -, onde proseguire verso Fegino (o Figlinas perché caratterizzato da molte felci –probabile 5°
miglio, visto che Sestri era il 6°-. Per Bulgarelli&Melli
invece il nome proviene dalla locale cava di argilla con cui lavoravano i vasai
=figulus, nella fabbrica =fig(u)lina. A mio avviso quest’ultima
interpretazione è errata solo perché sarebbe successiva ad una già intensa
aggregazione umana e quindi più tardiva), per il pendio del monte
Fringuello (l’attuale via Fratelli di Coronata) attraversare Borzoli e scendere
a Sestri (in latino ‘sextum’) e per Pegli proseguire
così la via Aurelia); oppure b) inoltrarsi verso il nord, la già usata e trafficata via
Postumia (vedi).
B) se la strada romana non ci fu, i trasporti avvennero usando i cosiddetti ‘sentieri viciniori’, tracciati dai pastori, dai rarissmi viandanti, dalle carovane di commercianti, ma sempre con identica direzione e percorso.
Scrive nel 1913 don Domenico Cambiaso nel suo libro su Belvedere “prima che fosse aperta la moderna via carreggiabile che percorre la città di Sampierdarena nella sua lunghezza, la via di comunicazione tra Genova e la Polcevera era la salita detta della Pietra, che dal fondo della valle sale alle alture di Promontorio, passando a tergo della collina di Belvededere, e discendendo poi per la discesa degli Angeli a Genova”
4 - via Julia Augusta
Sempre in epoca romana, fu l’ultimo asse stradale di grande organizzazione romana.
Qualcuno
scrive che, nel 48 aC. la strada fu percorsa
da Giulio Cesare diretto a Roma di ritorno dopo aver distrutto Marsiglia,alcuni facendolo
risalire da Savona via Acqui e quindi eliminando
Genova; altri facendolo sostare a Genova e concedere vantaggi ai suoi alleati
(tipo esenzione di certe tasse ed una indipendenza amministrativa abbastanza
ampia).
Ma avendo la strada il titolo ‘Augusta’, è probabilmente più giusto che
sia stata riattivata da Gaio Giulio Cesare Ottaviano (63 aC-14 dC), nipote di Cesare e primo augusto imperatore. Questi
dopo aver connesso la Gallia Narbonense alle terre medio mediterranee tra il 13 ed il
12 a.C.
(Praga scrive 19 dC;
altri 14 aC) dovendo transitare
nella Liguria occidentale con andamento costiero, fece: a) erigere (7 -6 aC)
sul colle della Turbia sopra Monaco, un imponente
monumento tipo trofeo mirato a commemorare la vittoria romana su tutte le genti
alpine ed oltre; e b) riattare la strada da Ventimiglia (Albintimilium), passando per Albenga (Albigaunum) fino a
Savona (Vada Sabatia).
Qui arrivato scelse salire a Dertona-Piacenza passando per Acqui
(Aquæ Statiellæ). Questo collegamento tra Roma e Spagna
era da sempre agognato da Roma stessa e fu realizzato solo in queste date. Questa strada fu migliorata anche con l’apposizione
di pietre miliari, e rimangono di esse numerose tracce ancor oggi repertate
(strade basolate, ponti, pietre miliari, un mansio –forse quello di Lucus Bormani, a s.Bartolomeo a Mare-
ed altro a La Turbie – detto mansio
Alpe Summa -. Però essa determinò un calo del traffico e tendenza all’
isolamento dell’emporio genovese che si salvò infine causa il sostanziale migliore e sicuro
approdo, per la ricettività di un alto
numero di navi all’attracco e, fondamentale, una migliore organizzazione
(magazzini, trasporti, dazi, ecc.). Proveniente da Arles,
fu misurata con pietre miliari, rafforzata con basi militari, migliorata con
ponti ed allungata. La viabilità della strada fu consolidata in modo così
efficiente che –si narra- da Cadice (via Augusta, ed in Italia via Aurelia) a
Roma si viaggiava senza mai bagnarsi i piedi in un guado. Sotto lui, la Liguria
era la IX (su 14) provincia romana).
Ma
fu interessamento da parte dell’imperatore anche la città di Genova, non ancora
ripresasi come funzionalità, dopo la distruzione cartaginese:
allo scopo trasferì l’incarico al suo tribuno nonché ammiraglio-architetto di
potenziare la base navale romana nonché la riparazione della via Aurelia di
ponente dovendo andare a sedare residui di guerriglia dei Liguri locali.
5 – Aurelia, del tardo impero romano
L’interesse
della strada procurò alcuni successivi restauri
nei secoli d.C.:
---nel
periodo di Adriano (117-138) nel 124 dC la
ripristinò, allargò, rinforzò e corredò di nuovi cippi, e la città con
anfiteatri e ville.
---da
Antonino Pio (138-161) (comunemente
chiamato “restaurator viarum
”perché grande propulsore di strade nuove e di miglioramento delle precedenti,
dette ‘itineraria’, tramite opere solidissime ancor oggi riscontrabili in tutta l’Italia,
escluso in Liguria). La «via Aurelia» viene citata in un testo, iniziato
nel III sec., epoca di Caracalla: “Itinerarium Antonini Augusti” (relativo a tutte le province dell’Impero
romano con censimento di tutte le grandi vie di comunicazione, con stazioni,
distanze, ecc. per un totale di 53.638 miglia. Nel Itin.Ant.289,3=via
Aurelia «a Roma per Tusciam et Alpes
Maritimas Arelatus usque M.P.M. DCCXCVI = da Roma
verso la Tuscia (Etruria) e
le Alpi Marittime fino ad Arles, miglia 769). La
stessa strada viene citata nella “Historia Augusta” (S.H..A.. Aurel.48,2); nonché da
Cicerone (106-43 aC.) nelle Epistulæ ad familiares).
---da
Valente (364-378);
---da
Valentiniano (364-375). (s.Ambrogio
nel 370 -prima di divenire arcivescovo di Milano- fu
governatore della Liguria ed Emilia e viaggiava spesso lungo questi itinerari).
Le prime invasioni barbariche decisero il progressivo
declino di ogni opera fatta dai romani, e quindi anche le strade; questo
abbandono continuerà per tutto il
Medioevo, anche perché diventeranno sempre più insicure e costeggianti vaste
zone insalubri, paludose e malariche.
Cartograficamente, un itinerario
compare per primo nella Tavola Peutingeriana della quale l’originale, oggi perduto, si fa risalire al periodo 335-366 dC.
La ‘Tabula’oggi valutabile, è quindi copia
medievale del XII secolo; ed è conservata nella Biblioteca Nazionale di Vienna (il
primo proprietario si chiamò Peutinger Konrad (1465-1547)
dignitario e antiquario di
Augusta. Hanno calcolato che comprende 100mila km di strade (corrispondenti a 70mila
miglia; consierato che un miglio romano=
1000 passi=1480 m); sono descritte oltre tremila centri abitati dei quali 550
evidenziati con case simbolo. È un quadro disegnato su undici rotoli di
pergamena, appiattito ma comprensivo di tutte le strade dell’impero romano; a
colori (i fiumi in verde; i monti in giallo; le strade rosse)
Della Liguria, a destra c’è Lunis
e dopo questa città, la strada che dovrebbe proseguire quella tracciata da
Roma, dopo breve tratto è interrotta: non segue la costa ma va al di là
dell’Appennino (c’è scritto ‘in Alpe-pennino’). La
strada costiera, dopo aver saltato tutto il tratto del Bracco, riprende (con
davanti l’isola della Corsica) ‘ab ingnilia’, ‘dò folania’,’Ricina’ e quindi ‘Genua’ rappresentata da due casette affiancate, a ponente
del torrente Bisagno. Non è citato il “Porcobera ovvero fiume che trasporta trote oppure zolle;
mentre Plinio lo aveva chiamato “Porcifera”. Qui si divide: una riga rossa segue la costa
passando ‘ad Figlinas’ (=fabbriche di vasi) e poi ad ‘Hasta’(=Arenzano),’ab navalia’
(=arsenali o cantieri navali; Varazze), ‘Alba Bocilia’, ‘Vico Virginis’ e ‘Vadis Sabates’. Altra va verso
l’interno a Libarnum e Dertona
(dalla quale, verso ovest c’è il simbolo di una casa molto più grossa di quello
di Genua, per ‘Aquis Catelis (Statiellis)’.
Già
nel III secolo dC ci fu uno stallo, che finì nelle
ultime decadi di quel secolo quando Milano iniziò ad acquisire importanza
divenendo sede imperiale della corte d’occidente, e necessitante di uno ’sbocco al mare’ sicuro e veloce non solo per l’Africa e le coste ma
per Roma stessa più veloce raggiunta via mare. E questo durò fino al periodo
longobardo. Quando nacque la Repubblica di Genova: plurime minacciose
invasioni avevano insegnato ed era esperiena ben chiara non avere aperte le strade e sfruttare
solo i sentieri o mulattiere per mercanti e per il sale.
Le percorrenze romane (viae pubblicae di nome, militari di motivazione, commerciale-mercantile di fatto; per causeintrinseche alla natura selvaggia della Liguria costiera, e per il difetto di non avere incaricati con particolare interesse a mantenere funzionale tale strada) subirono sia una progressiva fase di restauri e rifacimenti (da frane, erosioni, mareggiate e trasformazioni costiere e- non ultima- la destrutturazione progressiva conseguente a non manutenzione) spesse volte disconoscenti l’originario percorso.
Praticamente l’attenzione ai
percorsi terminò all’incirca dal IV secolo d.C. in poi, anche per motivi di differente organizzazione
sociale e politica.
6 – Posteriore all’epoca romana
Esaurito
lo scopo militare, sicuramente furono continuati i traffici commerciali ma
andati rapidamente in disuso per l’incapacità organizzativa e storica di
‘mantenere’ una strada aperta e funzionale.
In età alto medievale, anche quando Genova iniziò una più organizzata
politica espansionistica le comunicazioni via terra con la città sempre
costituivano minimo interesse sia commerciale che militare. Erano anni di
enormi impegni della città, ma quasi tutti interessanti le vie marittime (lotta contro Pisa, contro Valenza, di difesa delle
colonie d’oriente conquistate alla prima crociata); via terra erano solo – e
di non poco interesse però - le beghe tra guelfi e ghibellini.
A SanPierd’Arena, una strada che
percorrerà tutto il villaggio dentro di esso, è di origine intorno-prima
dell’anno 1000 (forse, da dopo la distruzione di Genova da parte dei
saraceni), ma non è possibile chiamarla Aurelia perché non collegata ad
essa né a levante né a ponente. Localmente da noi, viene
descritto che esisteva un’altra strada (alcuni
dicono romana ma più probabilmente posteriore), detta “crosa del Malconsiglio”, che dalla sommità del colle
di san Benigno scendeva il fossato san Bartolomeo sul lato a levante, (allora tutte zone senza nome) “via sive
crosa mali consilii, ad ruverascum
et inde ad sanctum Bartholomeum et inde ad santum Petrum de Arena” (il nome è spiegazione stessa della disagevolezza
nel tentare di percorrerla). Ancora nel
1933, viene chiamata Aurelia dal
Pagano, una strada che da fuori Porta
degli Angeli scendeva sotto le mura sino al
litorale (salita
ai Bastioni ?) ed arrivava a via di Francia.
I Padri del Comune, per secoli - per non dire mai -, nei panni del Magistrato specifico (curatore dei moli, dell’acquedotto, della lanterna, dei ponti e del porto) non troveranno opportuno curare le strade, eccetto se avvenivano fatti clamorosi tipo grave impantanamento per errato deflusso delle acque o frane. Solo qualche intervento, mirato ad interessare le comunità singole coinvolte.
Avvenivano vari aspetti: uno, faceva nascere il conflitto di competenza (le ‘strade franche’) e controversie di proprietà per l’applicazione delle gabelle (per tutte le carovane, specie quelle del sale; con conseguenti scaramucce, requisizioni, confische, ecc. e conseguente contrabbando); altro, che le strade che portavano al confine del Dominio, erano un onere dispendiosissimo, da limitare al massimo e solo sino al confine stesso e non oltre (solo il passaggio di illustrissimi ospiti muoveva squadre di ripristino). Ed ultimi, da non trascurare, le inclemenze del tempo, l’onere del cabotaggio alternativo, i frequenti dislivelli estremenente ripidi, i briganti, ma soprattutto gli invasori.
In età rinascimentale e seguente, le comunicazioni terrestri
rimasero così sempre di mediocre importanza locale, anche se è testimonianza
che nel 1500 su otto pievi della podesteria,
5 avevano popolazione prevalentemente dedita al mestiere di mulattiere, e che
già numerose erano le possibilità di ospedalizzare i pellegrini a Cornigliano, SPd’Arena (la chiesa di salita s.Barborino) Rivarolo, san Cipriano e Serra.
Nel 1539 l’amministrazione delle gabelle cercò di dare ordine ai
traffici: quello marittimo concentrato nel porto di Genova (impedendo alle navi di fare scalo nei paesi
rivieraschi; col Porto Franco, da Ge le merci
potevano andare a Sv e da lì, via terra, a
destinazione); quello per strada – pena
la confisca dei ben i- limitarsi a tre vie, definite ‘pubbliche’: a ponente
quella per Voltri; a nord quella lungo il torrente Polcevera per PonteX-Bocchetta oppure lungoBisagno
per Scoffera-Bobbio.
Solo dopo che fu aperto il ponte di
Cornigliano (1560), corrispose al tracciato interno
del borgo; però essendo in pratica poco
usata per i commerci e trasporto di truppe, come tale, non ha lasciato alcuna traccia di sé. Comunque,
perduto il nome di Aurelia nell’interno dell’abitato, divenne progressivamente
‘strada pubblica, strada interna, strada comunale, strada Reale’,
infine per più di cento anni chiamata ‘via De Marini’.
Solo
nel 1632, fu aperta la strada ‘in dirittura’ tra la porta s.Tommaso,
la Lanterna e San Pier d’Arena. Sei anni
dopo, in città questa strada trovò prolungamento a levante sino al Molo
Vecchio; ed altri tre anni per rendere carrozzabile sino a Voltri.
Ancora
nel 1714, attraversare la Liguria era un’impresa
da alpinisti:
le strade erano in realtà mulattiere, impraticabili con i mezzi su ruota di
legno senza balestre; non esistevano locande da ospitare i viandanti, e non mancavano i briganti a
scoraggiare i più arditi. In quegli anni, la bellissima Elisabetta
Farnese scelse questo mezzo per arrivare
in Spagna, quale promessa sposa del re Filippo V: arrivata a Sestri Levante
tramite il passo Cento Croci (portata in “bussola” e scortata da fedeli
servitori, dame, ed armati), si imbarcò fino a Genova facendosi ospitare in
villa Lomellini a San Pietro d’Arena (presumibile – non ce ne sono altre ed ora
tutte distrutta - in quella villa che era in via GB Monti ove ora è il civ. 20, oppure la L.-Boccardo?) Qui arrivata, avendo sofferto il mare,
stanca spossata e nauseata , si mise a
letto rifiutando partecipare a feste e spettacoli che erano stati preparati in
suo onore. Per questo motivo, rifiutò proseguire usando le navi, ed obbligò i commissari della Repubblica a
predisporre le tappe via terra, sino al confine, per loro con il terrore
dell’incidente e relativi problemi diplomatici, sia con Parma che con la
Spagna: con una tappa al giorno da San Pier d’Arena ad Arenzano; a Savona; da qui - attraverso il colle di Melogno per evitare Loano (feudo sabaudo) a Calizzano; Alassio; Porto Maurizio; Sanremo; Ventimiglia: dopo... solo
quattro mesi, arrivò a Madrid. Questo lungo tragitto, però le fu utile poi
quando regina, per le conoscenze fatte ed
i rapporti sociali intrattenuti. Solo
dalla fine del XVI secolo, la Repubblica iniziò a ritracciare
alcune carreggiabili, ma poco.
Nell’epoca barocca. Sino alla fine del XVIII-primi del XIX secolo comunque, causa il progressivo
deterioramento, l’intera regione ligure era praticamente senza strade. Gli
acquazzoni stagionali, anno dopo anno, sconvolgevano qualsiasi opera attuata:
crolli e frane, fiumi tracimati e residui paludosi; nessuno voleva assumersi
l’onere delle riparazioni ed era convenienza dei più lasciar stare le cose
così.
Nel
1791 Giacomo Agostino Brusco (il
quale già vent’anni prima aveva di propria iniziativa
disegnato la strada da Voltri a Savona, al fine di renderla carrozzabile (vuol
dire che non lo era; quindi -al massimo- era carrettabile): il progetto è
conservato in 36 cartelle rilegate, presso la Berio) venne incaricato –assieme a Gaetano Cantoni- di
formare piani della nuova strada di levante, da Genova a Sarzana, da
eseguirsi con i cospicui fondi del lascito Grimaldi. Ma i lavori non vrennero mai iniziati. Di questo progetto se ne tornerà a
parlare solo sotto il governo sardo che l’affiderà all’arch. Cantoni. Invece
al Brusco si diede incarico di
riprendere il progetto della strada di ponente, da Voltri a Savona, chiamata
dal Senato ‘opus publicum’
e coperta da finanziamento per la sottoscrizione di alcune famiglie nobili più
un lascito (di CarloFederico Doria).
a capo Nero,
tra Sanremo e Bordighera
Non ultimo, in epoca Napoleonica, il
generale preferì aggredire il nemico passando, come Annibale, attraverso le Alpi, lasciando a Massena (anno
1800) l’incarico di tenere qui occupati gli austriaci il più possibile.
Prima dell’assedio di Genova, fu cura del governo francese migliorare la ‘via
della Cornice’. Da Genova a Nizza. Fu su quella
strada che durante l’assedio, le truppe francesi dell’Armata di centro
dislocate nel ponente ligure e comandate da Suchet
tentarono di arrivare a Genova; ma non
riuscirono perché separate dalle truppe
austriache al comando del generale Elsnitz attestato
a Savona (da
ambo le parte si ebbero innumerevoli scontri sulla via a mare e sui monti
circostanti, da Savona al Varo, con
migliaia di morti e feriti, e innumerevoli paesini coinvolti, vesseggiati, danneggiati o addirittura distrutti). L’armata
austro piemontese era forte di 76mila uomini, ma così distribuita era però come
dispersa in Liguria e Piemonte (di essi, più della metà era impegnata
all’assedio di Genova o a liberare la
Liguria dai francesi), favorendo il Bonaparte, che
non aveva programma di accorrere ed aiutare né Massena né Suchet
ma di cogliere in Piemonte una vittoria significativa. Il giorno dopo la resa
dall’assedio (4 giu.1800), i 4600 soldati della
truppa francese con le divise rappezzate, equipaggiamenti riordinati e le armi
lustre, ma senza carriaggi né artiglieria per mancanza di animali da trasporto,
a piedi sfilarono tra i reggimenti austriaci ammassati a San Pier d’Arena e si avviarono lungo l’Aurelia verso Voltri.
Ritornando però dopo pochi giorni, per il ribaltamento della sorte, dopo la
vittoria napoleonica di Marengo.
Ancora negli anni di occupazione francese, nel periodo
1800-1815 la strada ‘fuori
dipartimento di Genova’, era abbastanza agibile da
san Pier d’Arena fino a Voltri; mentre la litoranea presentava difficoltà
enormi a rimanere aperta, tanto da scoraggiare i viandanti. In sostanza, il periodo francese viene riconosciuto
solo per una prevalente progettazione.
Nel 1810 risultano: sia la ricostruzione del ponte di
Cornigliano, per iniziativa privata della famiglia Durazzo (che risultava
amministratore dell’Opera, e che quindi percepiva i pedaggi d’uso ed a cui
toccava l’onere delle riparazioni. E sia che le strade erano soggette a
progetti dell’amministrazione francese;
essa aveva diviso il territorio in ‘Dipartimenti’, e quello di Genova (di poco più di 48 km.) andava - a levante -
sino a capo Portofino; ed a ponente sino al confine con quello di Montenotte ed era percorso dalla strada n°
14, la Parigi-Nizza-Genova-La Spezia-Napoli.
Questa strada rivierasca era troppo spesso interrotta (tra Spotorno
e Vado; tra Varazze e il torrente Lupara; tra Celle
ed Arenzano dove si dovette tagliare verticalmente la roccia per 150m; a capo
Noli le enormi difficoltà a conservare la strada di superficie causa lo
strapiombo e le frane, fece programmare una galleria (di 130m, larga
4m) ma la compattezza della roccia
richiedeva un giorno di lavoro per solo mezzo metro di profondità; fu
completata un anno dopo).
Nel periodo del regno dei Savoia.
Caduto Napoleone e mutate le circostanze generali, il Governo piemontese
proseguì l’opera francese, ed in quarant’anni di
assiduo lavoro riuscì a rendere praticabile il tragitto sia a levante che a
ponente di Genova proprio quando iniziarono i primi tratti della ferrovia (per
l’Imperatore di Russia ‘la piaga del secolo’; per il
governo austriaco ‘pura demagogia’; per Ferdinando II
Borbone ‘un mezzo per far rivoluzionare le masse’; per Gregorio XVI ‘invenzione diabolica’;
per SPd’A come ambiente naturale, una catastrofe). Sotto
Carlo Alberto, 1823-30, fu resa carrozzabile l’Aurelia da LaSpezia
a Genova.
Ma ancora in una relazione provinciale del 1926-8,
si fa cenno per San Pier d’Arena ad una ‘manutenzione della strada n° 1 Aurelia’ da parte della Provincia e dei Comuni: il tracciato da curare
partiva dalla porta Lanterna ed
attraversava la città, senza però menzionare quali strade locali in particolare, con elenco delle opere
compiute e da compiere per la sua manutenzione, definendo genericamente il
lungo tratto ‘da Genova al confine francese’: «... da
comprendere nel primo gruppo di strade da sistemarsi immediatamente...
attualmente aduggiata da incagli e difetti di ogni genere, strozzata negli
abitati, minata dal mare, contorta, disarmonica, insufficiente, ...soddisfare
traffico e viabilità con le ragioni più alte e più delicate della incomparabile
bellezza naturale.. ».
Ma alla resa totale, le difficoltà di
tracciare e soprattutto mantenere un tracciato attraverso l’Appennino, apparirono insormontabili; e Genova ottenne assai poco,
rispetto la rete stradale italiana, rimanendo pressoché sempre esclusa dai
collegamenti e dagli itinerari terrestri incisione
di Brockedon, 1828, in zona Ospedaletti
Oggi, L’autostrada A12 completata nel 1971 è posta su un tracciato differente.
Nel 1999, un progetto approvato da apposita Commissione europea, si propose lo studio delle strade romane in Liguria. Allo scopo, siti da consultare sono: www.viaeromanae.org ; oppure www.regione.liguria.it (‘vie romane del Mediterraneo’).
Nel 2002 la strada da ‘statale’ divenne ‘provinciale’ per una legge proposta dall’on. Bassanini che propugnava un ‘federalismo stradale’, causa scandali vari, inchieste giudiziarie e tempi lunghissimi anche per banalità.
2006, la SS.1 detta Aurelia, è il percorso costiero ligure che va da
Dogana di Ortonovo (SP) a Ventimiglia (IM). La
denominazione appare chiara ed in uso attuale in tutti i tratti extraurbani -
sia a levante che a ponente di Genova -, questa è applicazione in atto dagli
ultimi cento anni, con pochi riferimenti sovrapponibili alla strada di epoca
romana (per ‘strada Aurelia’
oggi viene intesa solo quella statale, senza riferimento alla antica romana se
non per il senso dell’itinerario, e limitata fuori dalla città stessa; dapprima
nell’ambito provinciale e poi fuori
anche da esso). In città poi, l’espansione dei manufatti e del cemento
nel tempo hanno cancellato ogni minima possibilità di reperire una
traccia, non solo pratica del percorso
ma anche nominativa (vedi, le necropoli trovate
negli scavi; in Palumbo la descrizione di resti di un
ponte romano in zona di DiNegro; vaghi richiami dei nomi: Fegino - nome latino per
felci e fabbrica di ceramiche -, pietre miliari e ponti - Pietra, Sestri,
Pontedecimo -. Pochissimo per dare risposta.
Nel 2008 un decreto
ripristina la competenza allo Stato: quindi di nuovo SS 1 con competenza
dell’ANAS, da Genova a Roma. Però saranno, non di tale competenza, i tratti che
attraversano Centri urbanizzati con sopra i 10mila abitanti (Chiavari, Rapallo,
SestriL (non Recco e SantaM
che superano la cifra nel territorio ma non nel nucleo cittadino) e da Vesima a Savona (compresi Arenzano e Cogoleto)
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